sabato 14 novembre 2015

Guerra a Parigi, il fallimento dei servizi segreti. Retroscena e ipotesi

I sette attentati che hanno scosso Parigi nella notte del 13 novembre 2015 hanno fatto nascere mille interrogativi nelle menti dei cittadini francesi e non solo.
Sette attentati simultanei e correlati di diverso tipo denotano abilità di pianificazione e azione militare con il coinvolgimento decine se non centinaia di persone coinvolte, mesi di riunioni, telefonate, incontri; è possibile che l’intelligence francese non ne sapesse niente, anche se si sarebbe dovuta trovare in uno stato di massima allerta dopo quello che era successo il 9 gennaio scorso in occasione dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e ad un market che aveva causato la morte di 17 persone.
“L’elemento di sorpresa si deve sempre tenere in considerazione”, giustifica l’intelligence francese.  Yves Trotignon, ex 007 della Dgse, servizio antiterrorismo transalpino, ha spiegato che da tempo i servizi sapevano della possibilita’ di un tale attacco ma che erano anche consapevoli che non avrebbero potuto fermarlo. “Ci sono ormai sempre piu’ persone addestrate e preparate a morire. Che hanno studiato e che anno un solido background. Tutti questi possono fare parecchi danni” ha detto l’ex 007 aggiungendo che i servizi segreti sono ormai “sopraffatti” dagli eventi. Tra i pericoli maggiori, secondo Trotignon, quello dei giovani che rientrano dalle aree di conflitto, come Siria, Libia e Yemen. Questi ottengono qui in Francia le armi e sono pronti a entrare in azione. I terroristi che hanno agito a Parigi erano “professionisti”: lo affermano i sopravvissuti nei vari attacchi. “Sparavano con gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati”, racconta un testimone al Guardian parlando della sparatoria davanti al caffe’. “Sembravano soldati delle forze speciali”, aggiunge.
Un altra considerazione che può venire al cittadino medio è questa: se i servizi di intelligence non  sono in grado di sventare questi attentati che senso ha la loro presenza e le ingenti risorse finanziarie necessari per farli funzionare; nel tentativo di abbassare il grado di critiche ricevute, fonti d’intelligence francese fanno sapere di aver sventato diversi tentativi di attentati da gennaio, dopo quello alla redazione di Charlie Hebdo e ad un market che aveva causato la morte di 17 persone, ma i dubbi restano.
Un altro interrogativo a cui dare rispondere è perché gli attentati a firma Isisavvengano sempre in Francia e, in particolare a Parigi. Questo è un elemento che porta a pensare che nel paese transalpino e nella sua capitale gli uomini dello Stato Islamico godano di appoggi logistici più efficaci che altrove, anche se non è da escludere che si possa trattare di gruppi terroristici locali, dei quali non si conosce nulla, i quali utilizzano l’Isis come un marchio di franchising facilmente riconoscibile a livello mondiale per cui basta un tweet per avere la cassa di risonanza mediatica, che si vuole ottenere.

Gli attentati di Parigi dimostrano che il modello francese della convivenza e dell’integrazione con la presunzione dell’assimilazione dimostra di non stare funzionando. Era accaduto con le rivolte nelle banlieue ai cui ragazzi veniva imposta la rimozione delle proprie diversità culturali di origine pur mettendo in atto discriminazioni sociali e del diritto al lavoro sulla base di quelle stesse origini. Tutto ciò non può che gettare veleno sulla convivenza in patria tra varie estrazioni etniche, soprattutto tra le giovani generazioni che oggi s’identificano in realtà ideologicamente corrotte dall’ortodossia ma logisticamente ben organizzate e capaci di comunicare da e con ogni parte del mondo.

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