I sette attentati che hanno
scosso Parigi nella notte del 13 novembre 2015 hanno fatto nascere mille interrogativi
nelle menti dei cittadini francesi e non solo.
Sette attentati simultanei e correlati di diverso tipo denotano abilità di pianificazione e azione militare
con il coinvolgimento decine se non centinaia di persone coinvolte, mesi di
riunioni, telefonate, incontri; è possibile che l’intelligence francese
non ne sapesse niente, anche se si sarebbe dovuta trovare in uno stato di
massima allerta dopo quello che era successo il 9 gennaio scorso in occasione
dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e ad un market che aveva
causato la morte di 17 persone.
“L’elemento
di sorpresa si deve sempre tenere in considerazione”, giustifica l’intelligence
francese. Yves Trotignon, ex 007 della Dgse, servizio antiterrorismo
transalpino, ha spiegato che da tempo i servizi sapevano della possibilita’ di
un tale attacco ma che erano anche consapevoli che non avrebbero potuto
fermarlo. “Ci sono ormai sempre piu’ persone addestrate e preparate a morire.
Che hanno studiato e che anno un solido background. Tutti questi possono fare
parecchi danni” ha detto l’ex 007 aggiungendo che i servizi segreti sono ormai
“sopraffatti” dagli eventi. Tra i pericoli maggiori, secondo Trotignon, quello
dei giovani che rientrano dalle aree di conflitto, come Siria, Libia e Yemen.
Questi ottengono qui in Francia le armi e sono pronti a entrare in
azione. I terroristi che hanno agito a Parigi erano
“professionisti”: lo affermano i sopravvissuti nei vari attacchi. “Sparavano con
gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati”, racconta un
testimone al Guardian parlando della sparatoria davanti al caffe’. “Sembravano
soldati delle forze speciali”, aggiunge.
Un altra considerazione che può venire al cittadino medio è questa: se i servizi di intelligence non
sono in grado di sventare questi attentati che senso ha la loro presenza
e le ingenti risorse finanziarie necessari per farli funzionare; nel tentativo
di abbassare il grado di critiche ricevute, fonti d’intelligence francese fanno
sapere di aver sventato diversi tentativi di attentati da gennaio, dopo quello
alla redazione di Charlie Hebdo e ad un market che aveva causato la morte di 17
persone, ma i dubbi restano.
Un
altro interrogativo a cui dare rispondere è perché gli attentati a firma Isisavvengano
sempre in Francia e, in particolare a Parigi. Questo è un elemento che porta a
pensare che nel paese transalpino e nella sua capitale gli uomini dello Stato
Islamico godano di appoggi logistici più efficaci che altrove, anche se non è
da escludere che si possa trattare di gruppi terroristici locali, dei quali non
si conosce nulla, i quali utilizzano l’Isis come un marchio di franchising
facilmente riconoscibile a livello mondiale per cui basta un tweet per avere la
cassa di risonanza mediatica, che si vuole ottenere.
Gli
attentati di Parigi dimostrano che il modello francese della convivenza e dell’integrazione con la
presunzione dell’assimilazione dimostra di non stare funzionando. Era accaduto
con le rivolte nelle banlieue ai cui ragazzi veniva imposta la rimozione delle
proprie diversità culturali di origine pur mettendo in atto discriminazioni
sociali e del diritto al lavoro sulla base di quelle stesse origini. Tutto
ciò non può che gettare veleno sulla convivenza in patria tra varie estrazioni
etniche, soprattutto tra le giovani generazioni che oggi s’identificano in
realtà ideologicamente corrotte dall’ortodossia ma logisticamente ben
organizzate e capaci di comunicare da e con ogni parte del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento